Napoli
Fino alla metà del sec. XVIII le università del regno di Napoli adottano due metodi di esazione fiscale, a gabella o a battaglione. Il primo consiste in una sorta di tassazione sui consumi, il secondo – che dà luogo ai cosiddetti catasti antichi - implica l’apprezzo dei beni stabili di proprietà dei cittadini e dei redditi derivanti dalle loro attività, detratti i pesi, cioè gli oneri finanziari cui erano assoggettati. Tende a prevalere il primo sistema.
Con Carlo III di Borbone viene progettato nel 1740 un catasto basato su criteri omogenei per tutto il regno. Con la prammatica “de forma censuali seu de capitazione aut de catastis” del 17 marzo 1741 prendono il via le operazioni per la redazione del catasto, detto onciario perché le rendite vengono valutate in once. Ulteriori disposizioni vengono emanate nel 1741-1742. Il catasto onciario prevede un’imposta personale, detta testatico, un’imposta patrimoniale e un’imposta sull’industria, cioè su ogni attività privata che produca reddito. A differenza di altri catasti settecenteschi, non prevede la rilevazione per mappe del territorio. Ogni possessore di immobili deve dichiarare al fisco lo stato di famiglia, i beni immobili posseduti, gli animali allevati e i terreni coltivati, oltre ai pesi gravanti sulla persona e sulla proprietà immobiliare (obblighi nei confronti del feudatario, decime dovute alla Chiesa o altro). Questa dichiarazione si chiama “rivela”. L’esattezza delle dichiarazioni è valutata da estimatori che procedono anche alla valutazione dei beni e delle attività; la rendita così accertata è detta “appezzo”. Presso ogni università una apposita commissione procede alla valutazione dei dati catastali e delle rivele, redigendo un libro onciario. A seguito di pubblico dibattito, ove potevano essere avanzate contestazioni, le operazioni si concludono con la redazione finale e definitiva del catasto in due originali, uno, con la documentazione prodotta durante le fasi di elaborazione (rivele e apprezzi), è inviato alla regia Camera della sommaria, l’altro rimane presso ogni università. Ulteriori disposizioni, successive al concordato concluso con Benedetto XIV, riguardano il regime catastale dei beni ecclesiastici, mentre i beni appartenenti al demanio comunale e i beni feudali sono esenti da tassazione. Le operazioni del catasto sollevano resistenze da parte dei maggiorenti locali, tanto che nel 1753 un’ulteriore prammatica prevede l’invio di commissari nelle università inadempienti, i quali non operano ovunque con successo.
Gioacchino Murat - che diventa sovrano nel 1808, subentrando al fratello di Napoleone, Giuseppe -ordina, con decreto 4 aprile 1809 (cui seguono altre disposizioni il 12 agosto e il 9 ottobre) la formazione di un nuovo catasto per ovviare alle irregolarità e abusi consentiti di quello in vigore. Il catasto murattiano è detto provvisorio in quanto il sovrano si propone di intraprendere una misurazione geometrica di tutto il regno per poi procedere ad un accatastamento più preciso delle proprietà: chiede intanto il concorso dei proprietari per una esatta descrizione dei beni.
- Catasto preonciario, 1578-1737
- Catasto onciario, 1742-1809
- Catasto provvisorio murattiano [terreni], 1809-1811, attivato nel decennio successivo